La vera umiltà non fa mostra di sé e non dice molte parole d’umiltà, perché non desidera solo di nascondere le altre virtù, ma ancora e principalmente se stessa; onde, se le fosse lecito fingere, mentire e scandalizzare il prossimo, farebbe atti di arroganza e di orgoglio, per celarsi e così vivere sconosciuta e coperta. Ecco dunque il mio consiglio: o non diciamo parole di umiltà, o diciamole con vero sentimento interno ; non abbassiamo gli occhi, senza umiliare il cuore ; non mostriamo di voler essere gli ultimi, se di tutto cuore non lo desideriamo.
Filotea, p. 3, Cap. 5.
Il 21 aprile 1615, il R. Padre de la Rivière, provinciale dei Minimi, avendo predicato molto devotamente e dottamente il quaresimale in Annecy, si congedò dagli uditori col dire di non poter lasciare ad essi altro mazzetto spirituale che il degnissimo loro Vescovo, alle virtù del quale bisognava volgere lo sguardo, come a modello di edificante perfezione, mentre esse imbalsamavano tutti con la soavità del loro odore. La presenza del Prelato gli vietava di continuare in questo argomento. Il Santo, arrossendo di confusione, abbassò gli occhi e rimase in un modesto silenzio. Quando fu a tavola col suo predicatore, questo buon Padre gli disse: “Non pare, Monsignore, che siamo nel tempo pasquale, tanto vi mostrate raccolto e mortificato.” E il Santo, con le lagrime agli occhi: “Si, Padre mio, sono mortificato, perché, dopo aver predicato la quaresima tanto bene, oggi avete guastato tutto. Avete tutto perduto, lodandomi con troppa esagerazione.” Durante il pranzo si trattenne sulle vane lodi che scambievolmente si danno i mondani. “Ah! – diceva egli – o meglio lo Spirito di Dio diceva per bocca sua profeticamente – che bella lezione c’impartisce lo Spirito Santo quando dice: Lodate l’uomo dopo la sua morte! Aspettate dunque che io sia morto, per lodarmi.” Il buon Padre assai bene obbedì, e, dopo la morte di S. Francesco, fu dei primi e migliori scrittori della sua vita.