Non bisogna temere che la cognizione del bene che Dio ha posto in noi ci gonfi, purché siamo attenti a questa verità, che quel che è di buono in noi non è nostro. I muli lasciano forse di essere bestie brutte e fetide, perché carichi dei mobili preziosi e profumati del Principe?… Che cosa abbiamo noi di buono che non l’abbiamo ricevuto? E se l’abbiamo ricevuto, perché vogliamo gloriarcene? Al contrario, la viva considerazione delle grazie ricevute ci rende umili, perché la cognizione genera la riconoscenza.

S. Francesco di Sales, Filotea, Parte 1, Cap. 5.

 

Il 23 marzo 1599 il B. P. Giovenale Ancina, dell’Oratorio, indi Vescovo di Saluzzo, si portò a visitare il nostro Santo. Sic­come si era trovato presente al suo esame, cordialmente si congratulo con lui della felice riuscita di esso. Il virtuoso Prelato rispose a queste congratulazioni con tanta modestia e pietà, che tutto commosso quel gran Servo di Dio ebbe a dirgli, abbrac­ciandolo: “Sono molto più contento, Signore, di trovarvi vera­mente umile, di quel che sono stato nel riconoscervi veramente dotto!» I due Prelati presero d’allora amicizia e la mantennero sincera e inalterata per tutta la vita. E quando S. Francesco di Sales seppe la morte del Beato Vescovo di Saluzzo, ne scrisse in questi termini ad una sua figliola spirituale: “Monsignor Ve­scovo di Saluzzo, uno dei miei più intimi amici e dei più gran Servi di Dio che fossero al mondo, è morto da poco, fra il com­pianto generale del suo popolo, che solo un anno e mezzo ha goduto delle sue fatiche e del suo zelo. Eravamo stati fatti ve­scovi insieme, lo stesso giorno… Vi domando la recita di tre corone per il suo riposo eterno, sicurissimo che, se mi fosse so­pravvissuto, mi avrebbe procurata la stessa carità da tutti co­loro ai quali avesse potuto domandarla.”