«Gran che dello spirito umano… i religiosi vorrebbero cantare la canzone dei Vescovi, e i coniugati quella dei religiosi, per meglio amare e servire Dio, essi dicono. Vi ingannate, caro amico; non dite che questo sia per meglio servire e amare Iddio, ma per meglio servire la vostra sodisfazione, che voi amate più della sodisfazione di Dio! La volontà di Dio, per esempio, si trova ugualmente nella malattia, e ordinariamente meglio ancora che nella sanità. Se noi amiamo più la sanità, non diciamo che è per meglio servire Dio, mentre chi non vede che, in tal modo, noi cerchiamo la sanità nella volontà di Dio, e non la volontà di Dio nella sanità?»
Teotimo, Parte 2, Lib. 3, Cap. 10.
In quest’ultimo giorno del mese di gennaio, particolarmente consacrato a S. Francesco di Sales, prendiamo un’idea della sua infanzia e dei primi anni della sua vita. Nel 1623, la sua nutrice depose che egli allora restava così tranquillo fra le sue braccia, che pareva sapesse appena gridare. Era tanto amico dei poveri, che volentieri accompagnava sua madre a visitarli, e anche giocava con essi. Tanto sincero nelle sue parole, che non si ebbe mai occasione di riprenderlo per qualche bugia. Sempre metteva la pace fra i suoi fratellini e piccoli compagni, sopportando volentieri per loro il castigo da lui non meritato… e parecchi altri tratti di una santità incipiente, che essa aveva scorto in lui dalla nascita, fino all’età di sette anni. Ciò non vuol dire che, a quell’età, il piccolo Francesco fosse immune dai difetti e dalle vogliuzze comuni agli altri bambini, ma la saggia fermezza dei genitori nel correggerlo e la sua franchezza nell’accusarsi sinceramente di ogni colpa, ne procurarono l’emenda.
Due fatterelli sono rimasti a ricordo di questo. Era stato proibito al bambino di trattenersi con i domestici, e quindi di entrare dove essi lavoravano. Un giorno, passando davanti alla cucina, Francesco scorge il cuoco che toglieva dal forno alcuni pasticcetti. Non può resistere alla voglia d’assaggiarli, entra in cucina, ne domanda e gliene viene deposto sulla palma della manina uno assai bollente!… “La gola fu più forte del dolore che sentivo – raccontava in seguito il santo Vescovo, dal quale solo si seppe il fatto – onde preferii soffrire, piuttosto che buttarlo via”. Un altro giorno, il piccino adocchiò una graziosa cravattina di seta multicolore, attaccata alla giubba di un operaio che in quel momento lavorava nel Castello. Gli piacque molto, e furtivamente la portò via. Terminato il lavoro, l’operaio riprese la giubba e si avvide della scomparsa della cravattina; ne interrogò i domestici e la cercò dovunque, ma invano. Informato del fatto, il signor di Sales volle interrogarne il figlio, e questi, non solo ingenuamente confessò il fallo, ma gettandosi in ginocchio, ne domandò perdono con tale abbondanza di lagrime, da commuovere tutti gli astanti; il padre però, che temeva le conseguenze di un tal difetto, lo volle punito, e in presenza di tutti sottopose il piccolo Francesco alle staffilate, facendogli capire che non lo puniva più severamente, per esser quella la prima sua colpa del genere; altrimenti non se la sarebbe passata così liscia.