“Il grande artefice di misericordia converte in favori le nostre miserie, e con la vipera delle nostre iniquità fa la teriaca salutare per le anime nostre. Di­temi dunque, di grazia, che non farà Egli delle nostre afflizioni, dei nostri travagli e delle persecuzioni che ci molestano? Perciò, accadendovi qualche disgrazia, di qualunque natura essa sia, siate sicurissima che, se amate di cuore il Signore, tutto si convertirà in bene; e ancorché non possiate comprendere donde procederà questo bene, siate certamente sicura che senz’altro av­verrà”.

San Francesco di Sales, Lett. spirit.

 

Sul principio del 1592 troviamo il nostro Santo intento a proseguire un viaggio di devozione e di cultura che, appena terminati i suoi corsi nell’Ateneo di Padova, aveva intrapreso attraverso le principali città e i più insigni Santuari d’Italia. Viaggio fortunoso, durante il quale Dio pose mano ai miracoli per conservare in vita il futuro suo apostolo; ma viaggio, che lasciò nell’animo di Francesco le più soavi impressioni e i più cari ricordi. A Roma, dove con somma pietà visitò le Basiliche e gli altri monumenti della fede cristiana, ebbe la ventura di co­noscere S. Filippo Neri, allora in età di 77 anni e vicino al termine della sua gloriosa carriera. Una tradizione carissima ai romani mette l’incontro dei due Santi in piazza del Pantheon; S. Filippo, per lume divino, conobbe la straordinaria santità di quel giovane forestiero, onde, staccatosi dalla folla dei suoi fi­gliuoli spirituali, corse ad abbracciarlo e, dopo averlo tenera­mente baciato in fronte, disse ai circostanti: “Ho baciato in fronte un Santo.”

A Roma pure ebbe a sperimentare la grande protezione di cui lo circondava il Signore. Tornando una sera all’alloggio gli ingiunsero di allontanarsene, per dar posto a certi gran signori arrivati da poco; con somma mansuetudine sopportò Francesco quest’affronto, e si conduce altrove. Nella notte seguente, una pioggia torrenziale gonfiò il Tevere e lo fece straripare con tanta furia, che la casa, abbandonata da Francesco e situata in rive al fiume, venne trasportata dalle onde, senza che alcuno di quanti l’abitavano potesse salvarsi!

Accadde quasi lo stesso quando, dopo aver visitato, con som­ma consolazione del suo spirito e grandissima edificazione di quei che l’accompagnavano, la Santa Casa di Loreto, volle im­barcarsi al porto di Ancona per Venezia. Trovarono pronti a far vela un piccolo battello, che una ricca signora aveva noleggiato per sé e il suo seguito. In vista di maggior guadagno, il pilota nascose questo patto al nostro Santo, e lo ammise nella nave con quanti l’accompagnavano, riscuotendone finanche il nolo!

La signora non approvò l’introduzione di quei forestieri nel battello, da essa precedentemente noleggiato, e senz’aspet­tare nessuna spiegazione del pilota, rivoltasi bruscamente a Fran­cesco, con modi imperiosi, gli comandò d’andarsene. Ebbe bel fare il santo giovane per rappresentarle, con gentili e rispettose maniere, che a lui e ai suoi compagni occorreva pochissimo spa­zio e non le avrebbero recato nessun fastidio, rimanendo sul battello per la traversata; tutto fu inutile, bisognò assolutamente ritirarsi! Il battello partì con vento assai favorevole e buona pezza vogò a piene vele. Francesco e i compagni lo seguivano, con lo sguardo, dalla riva… quando, in un subito, si levo un’im­provvisa burrasca… in preda alla furia delle onde, il naviglio lottò strenuamente contro i flutti irritati, ma finì per sommer­gersi con tutto l’equipaggio! A tal vista, Francesco non poté trattenere le lacrime, e molto ringraziò il Signore per averlo così paternamente sottratto, una seconda volta, alla morte. Calmata la tempesta, profittarono di un altro battello e fecero vela verso Venezia. Durante la prima parte della traversata, da Ancona a Cattolica, una nuova bufera minaccio ancora la vita dei nostri passeggeri, ma la Provvidenza divina intervenne di nuovo, men­tre la pietà, il raccoglimento e la tranquillità di spirito di Fran­cesco in faccia alla morte ebbero ragione dell’umore bisbetico dei marinari, che quell’improvviso pericolo aveva inaspriti. Con­tinuando la traversata da Cattolica a Venezia, un piccolo inci­dente diede gran risalto alla mansuetudine del santo giovane. Era egli attentissimo ad ascoltare il racconto dei miracoli operati dalla Madonna in favole dei marinari; miracoli che avevano dato luogo alla costruzione d’una Cappella, che si scorgeva in lontananza dalla riva, perciò non si avvide che, nella foga della manovra, le corde in movimento rasentavano il suo cappello, il quale venne così a cadere nell’acqua! Cosa da niente, un cappello perduto!… Ma il severissimo ajo gli significò che non lo avrebbe riavuto fino a Venezia, onde pensasse a ripararsi come poteva dalla tramontana, che fischiava orribilmente quel giorno! Senza punto scomporsi, Francesco aprì la valigia o, trattone il berrettino da notte, si coprì con quello. Prima di arrivare a Ve­nezia, sostarono al porto di Chioggia. Ed egli sopportò dolce­mente la confusione di mostrarsi in quell’arnese sulla pubblica piazza, fra la sorpresa e le risa dei passanti.

Lasciando Venezia, dopo un breve soggiorno, prima d’inoltrarsi nell’alta Italia e prendere la via del Moncenisio, il santo giovane tornò per poco a Padova, dove rivide il R. P. Possevino, suo direttore, nuovamente si congedo da lui e domandò il diplo­ma come membro della Congregazione Mariana, che conservò poi rispettosamente fino alla morte. L’ottenne in questo giorno, 21 gennaio 1592, col seguente elogio: “…Poiché la brevità delle presenti non permette una più ampia raccomandazione e la vita del Sig. Francesco é tanto eccellente che, senza bisogno di attestati, si raccomanda abbastanza da sé, non soggiungiamo altro al fin qui detto, essendo certi che dovunque Egli si troverà, farà vedere come la carità e la bontà regnino sempre in tutte le no­stre pie Congregazioni».

Fu pure il 21 gennaio (1623) che i Deputati del Vescovo e del Capitolo di S. Pietro di Ginevra terminarono finalmente i ne­goziati con i Magistrati e col clero di Lione, risolvendo tutte le difficoltà che questi opponevano, per non privare la loro città del Corpo del nostro Santo, e poterono mettersi in cammino alla volta di Annecy, accompagnando il prezioso deposito. All’uscir di Lione, il Cappellano di S. Nizier fece fermare il convoglio e pronunzia un elogio funebre seguito dalle lacrime di tutti gli astanti. Mentre egli parlava, il sacro Corpo profumava l’aria con un odore soavissimo, quasi volesse ringraziare il clero e il popolo di Lione della loro tenera devozione, della quale fu data bella testimonianza in tutto il tempo che il sacro Corpo rimase esposto nella chiesa della Visitazione di Bellecour, con le nume­rose processioni che ivi si portarono e i molti elogi funebri e solenni funerali che vi furono celebrati dal clero delle diverse chiese della città. Il Signore di S. Nizier soleva dire che, non gli uomini, ma gli angeli avevano obbligato gli abitanti di Lione a rendere quel prezioso deposito, mentre nessuna forza umana sa­rebbe stata capace di privarneli.