Spesso siamo noi la causa delle nostre aridità spirituali; Dio ci toglie le consolazioni dello spirito quando ne prendiamo vana compiacenza, e si allontana pure da noi, in castigo della nostra pigrizia, quando siamo negligenti a raccogliere, in tempo opportuno, le soavità e delizie dell’amor divino. Lo Sposo celeste batte alla porta del cuore e ci spinge a riprendere i nostri esercizi spirituali, ma noi vogliamo patteggiare con Lui, perchè ci dà noia lasciare i vani trattenimenti e separarci dai falsi piaceri; allora Egli passa avanti e ci lascia: quando poi lo cerchiamo, stentiamo a trovarlo perché così abbiamo meritato.
San Francesco di Sales, Filotea, Parte 4, Cap. 14.
Era il santo Vescovo devotissimo di S. Cecilia, perciò, se il 22 novembre si trovava in Annecy, non mancava di partecipare agli uffici della Cattedrale, perchè la sua presenza rendesse più solenne la festa con cui i musicisti onoravano la loro Santa Patrona.
Nel 1622, trovandosi in questo giorno il nostro Santo in Avignone, si portò a celebrare la Messa nel Monastero di Santa Prassede, per aver la consolazione di sentir cantare dalle vergini le lodi d’una delle più celebri Vergini della Chiesa. Terminato l’Ufficio vide alla grata del Coro la Superiora e le religiose e fece loro una esortazione sulle virtù di S. Cecilia: una delle monache, che viveva in concetto di santità, si avvicinò dopo e gli disse: “Monsignore, voi siete fondatore di un Ordine religioso, bisogna fare anche a noi la grazia di averne un monastero in questa città”. Il Santo rispose: «Madre mia, l’Istituto nostro è ancora piccolo e debole, ma osservandolo bene si può arrivare a una grande virtù. Dio esaudirà il nostro desiderio, e fra qualche tempo avremo, non uno, ma due dei nostri piccoli alveari in questa devota città». Se ci atteniamo agli Annali dell’Ordine, la profezia ebbe pieno avveramento.